L’armamento di forte Belvedere, analogamente ad altre opere dello “stile Conrad”, era costituito da una batteria di tre obici da 10 cm in cupola corazzata girevole.
L’arma prescelta, l’obice da 10 cm M09, aveva un calibro piuttosto ridotto, ma tale scelta si spiegava con la funzione prettamente difensiva conferita alla “cintura di fuoco degli altopiani” ed alle esigenze di stoccaggio delle munizioni. A differenza dei coevi forti italiani, dotati di cannoni da 149 mm con gittate piuttosto considerevoli, l’armamento dei forti austriaci era perfetto per contrastare attacchi portati nelle immediate vicinanze dalle fanterie nemiche e per resistere ad un assedio prolungato dell’avversario. Gli obici da 10 cm infatti, grazie alla canna corta ed al meccanismo di elevazione, erano in grado di colpire anche gli obiettivi nascosti alla vista, in gergo “con tiro indiretto”, con estrema precisione. La canna era costruita in bronzo rinforzato, ed il rinculo era smorzato idraulicamente. Infine le piccole dimensioni lo rendevano perfetto per essere collocato all’interno delle compatte cupole corazzate.
Questi i dati principali:
Obice e cupole venivano realizzati in Boemia, una regione dell’odierna Repubblica Ceca facente allora parte dell’Impero austro-ungarico, dalla ditta Skoda Werke di Pilsen.
Tale acciaieria iniziò la collaborazione con lo stato maggiore austriaco a partire dal 1890, per diventare poi negli anni successivi il fornitore più importante dell’esercito. Alcune delle sue realizzazioni, come ad esempio il mortaio da 305 (ne esiste un esemplare “parcheggiato” di fronte al castello di Rovereto) non avevano pari in Europa per caratteristiche tecniche, modernità, letalità e manovrabilità.
Le cupole corazzate erano una vera e propria primizia tecnologica per l’epoca. Mutuate concettualmente dalle navi da guerra, esse consentivano di risolvere il problema principale di un’opera corazzata: la sua fissità. Ciascuna fortezza veniva progettata sulla base di una possibile direzione di avanzata del nemico. Ciò faceva si che ogni opera avesse un fronte (denominato “scarpa” in gergo) ed un retro (“gola”). Le cupole consentivano di avere un settore di tiro orizzontale di 360° e quindi offrivano una protezione circolare attorno al forte, anche in caso di aggiramento. Nel caso di Forte Belvedere questa caratteristica veniva ulteriormente esaltata dalla creazione di un vero e proprio “sistema” corazzato, dove le varie fortezze si appoggiavano a vicenda e coprivano i vicendevoli punti morti. L’osservatorio corazzato del Pizzo di Levico, forte Busa Verle, forte Belvedere e forte Luserna componevano questa “cintura” fortificata ottimamente armata e strategicamente ben disposta.

Novembre del 1915, centro italiano sull’osservatorio corazzato del Pizzo di Levico (www.europeana.eu)
Le caratteristiche costruttive delle cupole austro-ungariche le rendevano sensibilmente differenti rispetto alle altre realizzazioni europee e soprattutto rispetto a quelle adottate dal Regno d’Italia sui forti Verena, Campolongo, Campomolon, Casa Ratti e altri. Esse vennero realizzate sul “modello Schneider”, dal nome del progettista. Come si può vedere dalla grandezza di questa camera, avevano un diametro estremamente compatte: esso misurava poco meno di tre metri. Per un raffronto, le cupole italiane realizzate dalla Armstrong su licenza francese, avevano un diametro di quasi sette metri. La “saetta”, l’altezza sulla copertura, era invece maggiore rispetto a quelle italiane, un metro, contro circa 50 cm, dando luogo ad una forma pressoché esattamente emisferica.

Lavori di riparazione alle cupole di Forte Cherle, prob. 1916. Si noti come i bombardamenti italiani abbiano completamente messo a nudo l’avancorazza (tratto da www.moesslang.net)
L’elemento chiave nella creazione di queste cupole era però la tecnica di fusione. Il pezzo veniva infatti realizzato con una colata unica di acciaio al nichelio e lo spessore poteva raggiungere i 30 centimetri. La fusione in un pezzo unico conferiva enorme resistenza ed elasticità alla cupola, che secondo le specifiche di progetto poteva resistere a colpi fino a 240 mm di calibro. In realtà durante il conflitto, il 25 agosto 1915, una torre del forte Belvedere fu in grado di incassare un colpo da 305 mm senza venire distrutta. La punta del proietto penetrò fino a 22 cm di profondità nella cupola, senza perforarla né danneggiarla irreparabilmente: “25 agosto 1915. Alle 10 del mattino scoppia sul nostro Forte un proietto del calibro 30,5 cm […]. Su di noi il mortaio da 30,5 cm spara soltanto 10 colpi […] ma con una precisione eccellente. Già al quarto colpo colpisce la torretta dell’obice III (n°21): penetra per 22 cm nell’acciaio e la snella punta del proietto rimane conficcata nella cupola. Nella parte interna della medesima si è prodotta soltanto una lieve ammaccatura di due centimetri nel punto di impatto del proietto; la cupola non presenta incrinature o crepe”.

La cupola colpita in pieno da un proietto da 305 italiano (tratto da Puecher M., Forte Belvedere Gschwent)
Le cupole franco-italiane erano realizzate invece in acciaio cementato ed erano costituite da due o più “spicchi” uniti tra loro in un secondo momento mediante saldatura. Ciò le rendeva molto più deboli, in particolare nei confronti delle armi a tiro curvo (obici e mortai), a tal punto che alcune vennero addirittura fatte a pezzi dal fuoco austro-ungarico nel 1916.
La cupola pesava circa 19 tonnellate, a cui andavano aggiunte le quasi 17 tonnellate dell’avancorazza, una protezione metallica che veniva inserita nella copertura della fortezza per proteggere i serventi all’interno del pozzo della torre, per un totale di ben 36 tonnellate.
Rispetto ai primi modelli realizzati attorno al 1890, le cupole M06 e M09 montate su forte Belvedere prevedevano la disconnessione tra obice e torre. Ciò avrebbe consentito in caso di colpo diretto di preservare l’integrità dell’arma e dei delicati congegni di mira. La cupola era semplicemente appoggiata sull’avancorazza e per movimentarla veniva sollevata di pochi millimetri, mediante un meccanismo di leve, e portata nella posizione desiderata. Obice e affusto erano invece posti su un “tamburo” di calcestruzzo e potevano ruotare grazie ad una serie di cuscinetti a sfera. La cupola, una volta portata in posizione desiderata, era dotata di una apposito meccanismo di blocco che ne impediva il rovesciamento. Le posizioni di cupola erano 24, e lo spostamento di una richiedeva circa 15 secondi.
Nell’interno dell’avancorazza erano ricavate delle nicchie per la collocazione delle munizioni di pronto impiego, mentre la maggior parte dei colpi di solito veniva stivata in depositi specifici. Ciascun obice disponeva di 1120 colpi, per un totale di 3360 per la batteria.